di Mattia S.

Procedendo nella correzione la penna
rossa che stringe in mano scorre sul foglio, seguendo le evoluzioni
della bic nera dello studente che ha originariamente impresso la
propria calligrafia su quelle carte. In questo procedimento il
maestro segna qua e là gli errori dello studente: una croce sopra
una lettera di troppo accanto a quel dittongo, aggiungendo una “i” in meno
in quello iato e così via, provvedendo a collegare con un trattino rosso ogni impropria separazione che trascura la funzione delle enclitiche.
Il maestro appoggia quest'ultimo
compito, poco più che sufficiente, sulla pila dei fogli corretti e
ne prendo un altro dalla pila dei compiti che attendono di essere
giudicati. Il foglio protocollo che si ritrova tra le mani gli lascia
sfuggire un sospiro di smarrimento. Non ha neppure bisogno di
controllare il nome sull'ultima colonna del foglio, tanto sono
riconoscibili le cancellature e le macchie di inchiostro che
tappezzano il compito.
«Andrea»
sospira il professore, immergendosi con estrema concentrazione e
fatica, nella lettura di quella calligrafia stentata, corroborata da
un'esagerazione di cancellature marcate e volte, forse in un impeto
di vergogna, pensa il maestro, a occultare l'errore. «Una
vera opera d'arte» borbotta il maestro, seguendo i solchi inferti
dalla penna sulla carta prima vergine, «Degna di una incisione del
tedesco Kirchner!».
Il
maestro, soppesando il foglio con lo sguardo, incomincia la
correzione, raccogliendo la sfida. In fondo, pensa fra se e se, la
sua è un'arte: non creazione in sé, bensì delicata e raffinata
pratica volta a illuminare e a mettere a nudo la verità. Dopo la
prima difficoltosa interpretazione di quanto scritto dal suo scolaro,
si accorge che le poche parole messe in fila, rispettando un
brandello della sintassi latina, riecheggiano quelle usate da un
altro suo studente. Spostandosi sopra la pila dei compiti pesca il
primo foglio, quello che ha finito di correggere qualche minuto prima
e lo dispiega al centro dello scrittoio, a fianco del compito di
Andrea.
Inizia
così l'opera di analisi e confronto cui il professore affianca
l'opera di correzione. Soppesando le varie incisioni che solcano la
carta, segue con lo sguardo le frecce che attraversano il foglio
dribblando macchie di inchiostro e altre cancellature, per approdare
alla correzione di un periodo cui il professore non manca di
cerchiare con la sua penna a sfera rossa l'uso improprio del verbo
'sunt'. “Fortuna che è la bella copia” pensa il professore
seguendo con la punta dell'indice un incomprensibile frase, scritta
con una calligrafia stentata quanto contorta. Alla fine, contro la
propria ostinazione, si vede costretto a tracciare un sinuoso punto
di domanda accanto alla frase, tra due asterischi lasciati dallo
scolaro, dopo averla sottolineata con la sua penna.
«Incomprensibile!» sintetizza il professore passando al periodo
successivo.
In
questo periodo il professore riscontra una certa somiglianza con una
frase precedentemente corretta nell'altro compito, difatti, Andrea è
andato in contro allo stesso errore fatto precedentemente dall'altro
studente e, seguendo i dettami dell'arte amanuense ha ricopiato il
medesimo errore fatto dal suo compagno di banco: ha declinato 'rex'
come un parisillabo.
Un
altro cerchio rosso accompagna la correzione data dal professore.
“L'individuazione
delle fonti è stata essenziale, come in fondo prescrive il metodo
Lachmann” pensa il professore, proseguendo la comparazione tra i
due scritti, senza dimenticare di pesare i testimoni. “Il collatio,
il confronto, viene così a delinearsi come un gioco da ragazzi,
semplice persino per il più infimo accademico. Un impegno filologico
tutt'altro che complesso!”.
Il
maestro conclude la correzione del compito, riuscendo a risparmiare
dalla falcidiata della sua penna rossa le ultime righe della
traduzione.
“Non
ha rispettato le regole”
Voltando
il foglio protocollo, ha la conferma dell'identità dell'alunno.
Sotto quel nome scribacchiato in tutta fretta appone il voto, un “4½”, sigillato dalle iniziali
del professore che in questo modo suggella la verifica a inalienabile
documento che verrà archiviato nei registri e infine nell'armadio
del professore nella sala insegnanti del liceo.
Timbrato
e siglato, il compito di Andrea viene posizionato sopra la pila dei
compiti corretti, andando a coprire il “6+” di Vittorio, il suo
compagno di banco.
Sul
lato sinistro della scrivania la pila di traduzioni corrette va via
via aumentando mentre, alla destra del professore, la pila dei
compiti da correggere diminuisce.
Il
lavoro procede senza troppi intoppi, nome dopo nome, voto dopo voto.
Non
appena mancano circa tre compiti il maestro prende in mano un
elaborato scritto con una grafia elegante, un corsivo tondeggiante
che fa snodare le lettere in graziose pance delle “b” e in
sinuosi ghirigori delle “g”. Dopo lo sfacelo del compito di
Andrea una boccata d'aria, «Mar-ghe-ri-ta» scandisce il maestro
«Ah, già!» esclama, “brillante ragazza” aggiunge mentalmente
lasciandosi andare un sorriso.
Stimolato
da quel compito così ben vergato da una grafia precisa, senza
nemmeno la traccia di una correzione ne, tanto meno, della brutta
copia del testo, segno evidente del fatto che quello che stringe in
mano è il frutto unico del suo lavoro, preciso e accurato sin dalle
prime fasi di scrittura, si immerge nella lettura accomodandosi sulla poltrona di
velluto rosso, distendendo le gambe sotto la scrivania lungo il
tappeto che ricopre praticamente tutto lo studio della sua abitazione
in quel quartiere della provincia marchigiana.
Senza
quasi accorgersene, incomincia ad intonare, recitandoli, i versi di
quello stralcio delle Georgiche, di cui ha assegnato la traduzione
niente meno che dall'italiano al latino, per verificare le capacità
interpretative dei suoi studenti. Le parole scorrono senza fatica, ovattate in quello studio elegante, ricco di mobili massicci neoclassici, rimbalzando sulla rilegatura dei pesanti volumi rilegati che riempiono le scaffalature della fornitissima libreria imperiale di fronte ala scrivania.
La
voce ferma del maestro scandisce l'andamento ritmico del verso, non
mancando di rispettare le pause e le quantità delle sillabe, frutto
di quel suo esercizio intellettuale e rispettoso dei dettami
stilistici che gli ha fatto valere il plauso di alcune pubblicazioni
incentrate sulla poesia latina dell'età del principato augusteo.
Senza
fatica scorre la scrittura della giovane scolara, e la sua brillante
quanto rispettosa interpretazione dell'opera, filtrata dalla massima
adesione alle regole grammaticali e della sintassi latina. Il maestro
ricorda bene le innate capacità prosodiche che quella brillante
scolara ha dimostrato nel corso dell'ultima interrogazione.
Si
concede un attimo per apprezzare il successo della sua studentessa e,
di riflesso, la soddisfazione dello stesso insegnante che è riuscito
ad assolvere il pieno svolgimento del suo magistero.
Ritornando
in posiziona eretta posiziona il foglio protocollo sull'elegante
scrittoio in pelle nera e pone la sua più fiera firma sotto un “10”
sottolineato due volte.
«Impeccabile!»
dice mentre posizione il compito di Margherita in cima al mucchio
delle versioni corrette.
Prima
di correggere le ultime versioni che giacciono inerti accanto al suo
braccio destro, il professore si concede un momento per riflettere
sul suo ruolo di tutore soppesando con lo sguardo quei compiti che
rappresentano, ciascuno, uno scolaro così diverso dall'altro, con
proprie idee, con proprie passioni, con propri metodi, spesso non
ortodossi o corretti, frutto di una propria personale vocazione;
studenti diversi ma accomunati da un intento e dall'essere parte di un unico
sistema.
L'attenzione
del maestro si concentra proprio su due allievi così diversi della
stessa classe: Andrea, il distratto e svagato liceale così allergico
alla sintassi latina, e Margherita, la brillante e promettente
studentessa che non finisce di stupire i consigli di classe e i
professori con la sua naturale predisposizione all'eccellenza.
Il
ruolo di un tutore è quello di ammonire gli errori e premiare il
successo, contro la deriva dell'individualità informe. Il suo
compito è quello di sostenere e plasmare con i suoi mezzi, il futuro
comune, superando le opposizioni e gli ostacoli.
Eppure
proprio questa opposizione fra eccellenza e carenza, che deve essere
annichilita, nell'ottica delle istituzioni, si configura come irriducibile lotta fra due opposti che
convivono in un ordine armonico, fatto di proporzione e misura. Una
razionalità sottende questa opposizione. Una razionalità che vede
proprio nell'inscindibilità degli opposti l'equilibrio
dell'universo. Da un lato il rispetto dei dettami, dall'altro la
tensione verso nuovi prodotti che passano per la messa in discussione
delle regole. La ragione guida l'uno e l'altro.
Che
l'allontanarsi di uno studente dalla strada tracciata dal maestro
sia una sconfitta per questo? O che, più in generale, possa essere
una sconfitta per l'istituzione? Perseguire invece l'eccellenza, ammonendo solamente gli errori, non potrebbe risultare dannosa?
Il
professore scrolla le spalle e impugna nuovamente la sua penna rossa
a sfera concludendo: «È semplicemente una questione di metodo».
Nessun commento:
Posta un commento