recensione
di Mattia Sangiuliano

«Questo libro si occupa
di negazionismo olocaustico. Lo indaga da più punti di vista, non
solo ricostruendone la storia ma cercando di mettere a fuoco, nel
limite delle sue pagine, gli aspetti concettuali e ideologici, gli
addentellati politici e le ricadute nella discussione pubblica»
(p.VII)
Edito per la collana Storia e Società è un approfondimento
estremamente interessante, che analizza in maniera lucida e organica,
uno dei temi più controversi cui la storiografia contemporanea, nel
campo dell'olocausto, deve confrontarsi.
Il libro è suddiviso in
sei capitoli che seguono l'andamento cronologico del fenomeno
negazionista, con grandi ripetizioni di quelli che sono i cavalli di
battaglia del negazionismo stesso; lungi dall'essere ripetitivo è un
testo costruito in modo dal fissare i concetti e spiegare, in maniera
estremamente chiara come e dove vanno a incidere i fattori cardine
del nagazionismo. Il primo capitolo “il negazionismo: una
definizione in forma di introduzione” punta il focus su quelle che
sono parole e tematiche cardine portando subito esempi e citazioni,
definendo già da subito quello che sarà il rigoroso impianto di
lavoro che attraverserà l'intera opera. Segue “Lo sviluppo del
negazionismo”, concentrandosi sul fecondo sviluppo del negazionismo
francese ed evoluzione di questo. Successivamente verrà presentato
“Il negazionismo americano”, cui segue “il negazionismo
italiano” sino ad approdare a “Il negazionismo nei paesi arabi e
musulmani”. Il sesto capitolo analizza infine il nesso
“Negazionismo e revisionismo”. Chiude il volume una “parziale
conclusione” che vede protagonista “il negazionismo tra
cospirazionismo e web”.
Il corpo testuale consta
188 pagine, divise in capitoli, a loro volta suddivisi in paragrafi
tematici. Fa da corredo all'opera una nutrita bibliografia di ben 18
pagine e un ricco indice dei nomi che contando 5 pagine agevola una
consultazione mirata in quel ricchissimo arcipelago di nomi più o
meno noti di sostenitori o esponenti del negazionismo.
«Il negazionismo è un
piccolo universo autoreferenziato, per alcuni aspetti quasi un genere
letterario a sé, che non viene scalfito dalla ragione poiché ha una
sua ragione che riposa sulla negazione»
Il negazionismo viene
subito a configurarsi come un sorta di panorama culturale multiforme
e poliedrico. Difatti, come precisa lo stesso autore, lungi
dall'essere un cliché di una estrema destra oltranzista e radicale,
il negazionismo è una tendenza amalgamante diffusa peraltro in una
certa area della sinistra e arriva ad estendere le sue propaggini nel
mondo musulmano mediorientale.
Dove la capacità di
argomentare si scontra con la capacità di utilizzare determinate
fonti storiche, la forza del negazionismo risiede nella strategia
della decontestualizzazione “revisionando” le fonti, o negando
l'esistenza degli assunti o delle prove più marcate che possono
ostacolarne o farne vacillare le tesi. Proprio in questo campo
torna il nesso della strumentalizzazione dell'universo negazionista
che, al pari dei dati decontestualizzati e passati al vaglio de
riduttivismo, non deve divenire egli stesso preda di una
decontestualizzazione sociale e, al tempo stesso, politica.
Tra destra e sinistra
negazionista cambiano determinati obbiettivi ma la rigida impalcatura
è la medesima; in una analisi che ne descrive la nascita e la
parabola ascendente, Claudio Vercelli fornisce una lucida analisi
degli assunti mostrando come, teorie spesso inattaccabili, dal punto
di vista teorico-argomentativo, abbiamo le medesimi radici di un
antistoricismo manifesto fatto di destabilizzazione della ricerca
storica se non addirittura manipolazione delle fonti, e non di rado
l'allusione a un universo filo-complottista.
Nell'esempio più
eclatante e ben noto, i negazionisti operano minando la credibilità
dell'esistenza dell'olocausto avanzando ipotesi sulla sua
attuabilità, sostenendo che l'olocausto non è mai esistito poiché
non poteva essere attuato, di conseguenza non ci sono mai stati sei
milioni di morti. L'impianto tecnico scientifico che fa da cavallo di
troia alla destrutturazione della memoria storica deve fare i conti
con i dati che, alla fine, sottendono o meno le tesi negazioniste.
Non di rado infatti manca la distinzione tra “campi di
concentramento” (Konzentrationslager) e “campi di sterminio” (Vernichtungslager); i primi come Dachau
situati nella Germania, mentre i secondi nelle terre conquistate coma
la Polonia adibiti all'eliminazione per gasazione. Nell'universo
negazionista spesso manca questo anello, e vengono portati a esempi,
dati ottenuti con stravolgimenti, o addirittura privi di riferimenti
concreti o di semplificazioni funzionali per suffragare le tesi del
revisionismo.
Claudio Vercelli descrive
quello che è un universo a se stante ma che risulta essere
devastante quando riesce a trovare ampio sfogo nella tribuna della
politica ma, soprattutto, tra le fila di persone non addette ai
lavori che non riescono a distinguere la penuria del lavoro storico
di quelli che sono a tutti gli effetti sedicenti ricercatori.
Ancora, un'importante
riflessione che l'autore affida alle ultime pagine del libro porta in
campo il nesso tra mondo digitale e mondo reale, soprattutto in
quello che è il campo delle nuove generazioni. Infatti proprio la
rete «chiama in causa significativi aspetti caratteriali
dell'individuo, sollecitandone un individualismo assoluto, un
narcisismo tanto esasperato quanto debole poiché, come ogni
narcisismo, oltre ad essere specchio di morte è anche annullamento
della soggettività». In questo senso il negazionismo opera una
strategia attorno al discorso della morte: tra visibilità e
occultamento «gioca una parte della sua seduttività, alimentano un
relativismo gnoseologico e cognitivo che si incontra con il cinismo e
lo scetticismo, fattori che giocano un ruolo rilevante nel modo in
cui una parte dei giovani e dei meno giovani si rapporta a sé e al
mondo circostante».
La storia, come ogni
verità, può essere studiata, appresa o anche contestata. Ma il
valore dello studio e della ricerca non può essere confuso con il
sensazionalismo o, peggio, con il frutto della strumentalizzazione e
della manipolazione semplicistica per fini altri, che nulla hanno a
che fare con la ricerca. In questo senso possono essere interpretate
le parole di Walter Benjamin che aprono il volume: “Il frutto
nutriente di ciò che viene/ compreso storicamente/ ha al suo interno
come seme/ prezioso ma privo di sapore/ il tempo”.
Nessun commento:
Posta un commento