Analisi e commento di Mattia Sangiuliano
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Paul Gauguin; donne tahitiane
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quando il mare svanisce, disteso. Nel bosco
ogni foglia trasale, mentre emergono caute
sulla sabbia e si siedono a riva. La schiuma
fa i suoi giochi inquieti, lungo l'acqua remota.
Le ragazze han paura delle alghe sepolte
sotto le onde, che afferrano le gambe e le spalle:
quant'è nudo, del corpo. Rimontano rapide a riva
e si chiamano a nome, guardandosi intorno.
Anche le ombre sul fondo del mare, nel buio,
sono enormi e si vedono muovere incerte,
come attratte dai copi che passano. Il bosco
è un rifugio tranquillo, nel sole calante,
più che i greto, ma piace alle scure ragazze
star sedute all'aperto, nel lenzuolo raccolto.
Stanno tutte accosciate, serrando il lenzuolo
alle gambe, e contemplano il mare disteso
come un prato al crepuscolo. Oserebbe qualcuna
ora stendersi nuda in un prato? Dal mare
balzerebbero le alghe, che sfiorano i piedi,
a ghermire e ravvolgere il corpo tremante.
Cl son occhi nel mare, che traspaiono a volte.
Quell'ignota straniera, che nuotava di notte
sola e nuda, nel buio quando muta la luna,
è scomparsa una notte e non torna mai più.
Era grande e doveva esser bianca abbagliante
perché gli occhi, dal fondo del mare, giungessero a lei.
(da Lavorare stanca, 1936)
L'ambientazione della
poesia è quella di una spiaggia, il mare domina l'ambientazione ma,
il luogo viene subito posto come subalterno all'azione, alla
connotazione temporale e alle protagoniste della scena. “Le
ragazze” sono l'elemento centrale in una coralità e compresenza di
più persone, tutte di sesso femminile, intente a bagnarsi nell'acqua
marina tra i cavalloni delle onde in piena estate, la poesia infatti
porta la data del 15 agosto 1935.
Una piccola digressione a
metà del verso 2 introduce la descrizione di un bosco, che verrà
poi ripreso al verso 12 mentre, dopo essere emerse “caute”, come
circospette, dalle acque, le ragazze si siedono sulla riva.
Le alghe mezzo sepolte
dal moto ondoso possono avvolgersi alle gambe o alle spalle delle
bagnanti, o a qualsiasi parte scoperta del loro corpo denudato.
Ritornano velocemente a riva e si chiamano per nome “guardandosi
intorno”. Le ombre a largo, enormi, sembrano muoversi incerte;
incutono un certo timore nel loro allungarsi verso le bagnanti, il
bosco potrebbe essere un rifugio ben più sicuro della spiaggia su
cui si trovano nude. Alla ragazze abbronzate piace però star sedute
all'aperto, non ripararsi nel bosco, con il loro lenzuolo
raggomitolato. Sedute stringono il lenzuolo sulle loro gambe
perdendosi nella contemplazione del mare che sembra come un prato al
tramonto. Qualcuna di loro si azzarderebbe a sdraiarsi invece nuda su
un prato, e non sulla riva del mare? Fantasticando il poeta immagina
che le alghe possano allungarsi dal mare per ghermirle e avvolgere i
loro corpi tremanti come le foglie del bosco (v.3), forse per il
ribrezzo che causa loro proprio il contatto con le alghe. Il
riverbero della luce morente sul muoversi delle onde a largo dà
l'impressione di occhi tremolanti.
La poesia culmina con la
comparsa di una figura femminile che domina la strofe conclusiva, una
stanza ricca di elementi autobiografici in cui il riferimento al
candore della bagnante, ora singola protagonista, potrebbe essere un
riferimento a quella Bianca Garufi, amante di pavese e musa di alcuni
di quei dialoghetti mitici con Leucò; oppure un richiamo alla balena
bianca dell'americano Melville. L'ignota straniera che nuotava “sola
e nuda” potrebbe essere la stessa luna che sorge e tramonta
anch'essa dopo il crepuscolo che apre il componimento. Ancora,
all'ultimo verso viene ripetuta la parola “occhi” rimandando alla
scena conclusiva della strofe precedente, in un continuo rimando
interno tra gli elementi della poesia.
La poesia è costruita su
un caratteristico andamento prosastico del verso lungo in sintonia
con l'intento narrativo di Pavese, cifra stilistica questa che
caratterizza per intero la produzione poetica dello scrittore
richiamando caratteristiche comuni a molti poeti americani, primo fra
tutti Walt Whitman, cui Pavese si riallaccia apprezzandone e
ammirandone l'opera.
Il verso lungo inoltre
affonda la sua radice in un particolare uso degli schemi metrici più
tradizionali, dall'alessandrino – verso composto da almeno due
emisticchi, ciascuno con di sei sillabe – e serie di piedi
anapestici.
L'immagine della nudità
e del prato accostati assieme rimandano ad un'altra poesia di Pavese,
anch'essa contenuta nella raccolta “Lavorare stanca”, intitolata
Crepuscolo di sabbiatori. Anche qua la connotazione temporale
è quella del tramonto; in un continuo alternarsi di immagini ai
lavoratori che caricano barconi con la sabbia raccolta dal fondo del
fiume, compaiono delle figure femminili, ricordo di un altro tempo,
che giungevano a quei lidi non per il faticoso lavoro dei sabbiatori
ma per altri motivi. “Tanti corpi di donna han varcato nel sole/ su
quest'acqua. Son scese nell'acqua o saltate alla riva/ a dibattersi
in coppia, qualcuna, sull'erba” ma “quelle donne non sono che un
bianco ricordo”. Il colore bianco è un legame anch'esso con la
nudità della poesia precedente, anche qua compaiono “Donne
appassionate” rievocate dal ricordo, quando si “qualcuna
scendeva/ seminuda e spariva” o ancora “l'ingiuria moriva/ sulla
donna distesa come fosse già nuda”.
Il legame tra l'immagine
del mare e un certo sensualismo che attraversa le sfaccettature
dell'opera di Pavese sembra offrire certi spunti di riflessione proprio dalla poesia Donne appassionate.
Il mare come elemento verso cui si protende un leggero fantasticare e
una certa sensualità come legame tra il mondo dell'infanzia e quello
della maturità.
Come dice in una nota del
suo diario lo stesso Pavese “In città quando si sogna la campagna,
in campagna quando si sogna la città. Dappertutto quando si sogna il
mare”. Il mare coincide con l'altrove, etereo non-luogo,
condensazione utopica verso cui si sporge l'animo del poeta, come
sponda a quel “vuoto” del “salto”, luogo e snodo centrale
dell'ambientazione del noto romanzo “La luna e i falò” posto tra
la maturità e la giovinezza, eco di quei miti che alimentano la
ricerca poetica ed esistenziale dello stesso Pavese, che vive
attraverso i suoi personaggi in un continuo sovrapporsi di scrittura
e vita; di arte e biografia. Su questa linea, come concorda Elio
Gioanola nella sua introduzione alla raccolta di racconti Feria
d'agosto «il mare custodisce le sue potenzialità immaginative a
patto di darsi come assente»; il mare come immagine propria del
vuoto, secondo una linea poetica già marcata anche e soprattutto
sulla scorta dell'infinito leopardiano dove “s'annega il pensier
mio:/ e il naufragar m'è dolce in questo mare». Il mare viene visto
come un non-luogo, continuo vagheggiare giovanile e parte del mito.
La scena della poesia
Donne appassionate è
quella di un paesaggio marittimo concreto, sfondo materiale in cui la
scena prende vita e si svolge; questo a differenza della sola
allusione che caratterizza la sezione di Feria d'agosto intitolata,
per l'appunto, “Il mare”. Nella poesia il mare, mantiene la sua
valenza di luogo del desiderio in cui si manifesta la tensione del
poeta, non dissimile da una sorta di sensualismo fisico e carnale che
alimenta il riflesso di quella iniziazione che passa attraverso la
contemplazione della nudità femminile in un rapporto continuo con
l'altro sesso che attraversa gran parte dell'opera di Pavese, in
filigrana al rapporto mitico che sottende il tema città-campagna in
cui proprio la città, iniziazione maturità oltre l'adolescenza, è
il luogo dove ha un grande peso l'esperienza carnale oltre il
rapporto magico-sacrale che lo stesso veniva rivestendo nel mondo
contadino della campagna delle langhe, come mistero sempre presente.
Il rapporto quasi morboso
con la sfera sessuale e l'altro sesso in genere, la letteratura e la
poesia, la tentazione del suicidio che già traspare senza troppe
edulcorazioni già in molte pagine del suo diario personale, quel suo
“Mestiere di vivere” pubblicato postumo, in cui vengono legate
con un doppio filo la tematica amorosa e il suo stesso successo con
quella vita sentimentale così tormentata del poeta-scrittore; un
diario che è quasi la rappresentazione e il simbolo premeditato del
gesto estremo che lo portò a conservare il manoscritto in una
apposita cartellina verde poco prima del suicidio.
Il “sensualismo”
della donna dunque, è ancora una rappresentazione costante eco
anch'essa di una sorta di iniziazione al mondo; presente tra città e
campagna, rivestita di un alone di mistero, di purezza infantile nel
suo affacciarsi al mondo nel primo caso, pienezza di un rapporto
maturo con il mondo e la vita nella seconda situazione.
Il valore
dell'iniziazione a un mondo sensuale prende le mosse da quella stessa
aria anti ermetica che caratterizza poesia di Pavese in
controtendenza al ripiegarsi in una dimensione intimistica dell'io e
in cui proprio il verso lungo e narrativo è il mezzo che possa
chiarificare e trasmettere il messaggio e il contenuto della sua
opera.
L'intera raccolta
“Lavorare stanca” è caratterizzata da questa bisettrice che
tende verso la comunicabilità, volta a superare l'incomunicabilità
che fa sprofondare il poeta in una continua solitudine che traspare
nella raccolta come continua incapacità di comunicare con l'altro;
una comunicabilità che ha per oggetto il tema centrale dell'antitesi
città-campagna e la riscoperta del mondo contadino, come insieme di
valori, di miti, di ricordi, di esperienze riscoperte sotto una nuova
luce e, soprattutto, luogo concreto, non un “altrove” ma uno
spazio simbolico, originario e libero dalle costrizioni della
civiltà. La sensualità di alcune Donne appassionate rubata
dallo sguardo del poeta, porta su di se il sottile legame con quel
fantasticare il mare dell'età giovanile, in un sottile legame
infanzia-maturità, campagna-città permea le descrizioni poetiche
evocate da Pavese.
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