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Quadro di Serge Marshennikov |
analisi e commento di Mattia
Sangiuliano
Te, nuda dinanzi la lampada rosa,
e gli avori, gli argenti, le madreperle,
pieni di riflessi
della tua carne dolcemente luminosa.
Un brivido nello spogliatoio di seta,
un mormorio sulla finestra socchiusa,
un filo d'odore, venuto
dalla notte delle acacie aperte,
e una grande farfalla che ignora
che intorno a te
non si bruciano le ali,
ma l'anima.
(da Città veloce. 1919)
Continua il nostro
viaggio nella poesia di Luciano Folgore proponendo un altro
componimento tratto dalla raccolta “Città Veloce”.
In netto contrasto con lo
spirito della scuola futurista, il Folgore di “Città Veloce”,
continua una sperimentazione che trascende lo stesso Futurismo. Il
1919 è la data che segna questa conversione poetica e spirituale del
poeta che, qualche anno prima, veniva presentato dall'”incendiario”
Filippo Tommaso Marinetti come un grande interprete della poetica
futurista.
Non più dunque la brama
di voler “cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e
alla temerità”, seguendo quanto scritto nel Manifesto Futurista ma
l'iniziazione ad una nuova poetica che vira dalla scuola del
dinamismo di stampo marinettiano.
In Tutta nuda
continua il desiderio di Folgore di voler tingere il mondo,
ritraendolo nella sua veste impressionista, nella sua statica
bellezza e nel piacere che ne deriva dall'osservazione. Non più
l'azione, la “lotta”, la “bellezza della velocità”, come si
legge nel manifesto Futurista del 1909, guidano il poeta; a dieci
anni di distanza, si registra la ricerca di un Folgore autonomo, che
si allontana dai dettami iconoclastici della sua scuola di
appartenenza per abbracciare un mondo di colori, di sensazioni, di
impressioni che il mondo stesso suscitata, portandolo ad una sorta di
poetica fusione con il mondo della natura; non più esaltazione per
il meccanico e il mito di una scoperta scientifica inarrestabile, ma
amore una naturalità distesa e assorta, consonanza con il ripiegarsi
verso una maggiore essenzialità.
Accanto alla tanto
disprezzata “immobilità pensosa”, abiurata dai futuristi, torna
la figura della donna, pura, nuda, cui il poeta si rivolge
direttamente, in netto contrasto con “il disprezzo della donna”
propugnato dallo stesso manifesto.
L'intimismo giovanile
squarcia la scena; Folgore pone la donna al centro della tela, sul
palco, descrivendone solo la purezza denudata, spogliata dal peso di
ogni altro connotato, passa poi a descrivere la cornice in cui la
figura femminile campeggia, ponendo attenzione ai piccoli particolari
visivi e ai rimandi sensoriali che danno volume alla figura
femminile, in luogo del loro essere divagazioni: i dettagli della
scena danno spessore alla donna.
In questo la parola luce
non viene nominata, ma viene tinta dagli oggetti che la richiamano,
in una iridescenza propria degli oggetti che nella descrizione fanno
da corredo alla donna nuda.
La prima stanza raccoglie sensazioni visive, introdotte dalla presenza della donna nuda di fronte alla “lampada rosa” e a tutti quegli oggetti “avori”, “argenti e “madreperle”che riflettono la “carne dolcemente luminosa” (v. 4) della donna; attuando uno slittamento tra l'oggetto che produce la luce, la luce stessa e ciò che viene illuminato, in un rimescolamento che vede la donna del componimento come fonte da cui la luce si irradia.
La prima stanza raccoglie sensazioni visive, introdotte dalla presenza della donna nuda di fronte alla “lampada rosa” e a tutti quegli oggetti “avori”, “argenti e “madreperle”che riflettono la “carne dolcemente luminosa” (v. 4) della donna; attuando uno slittamento tra l'oggetto che produce la luce, la luce stessa e ciò che viene illuminato, in un rimescolamento che vede la donna del componimento come fonte da cui la luce si irradia.
Nei primi quattro versi
della seconda strofe si scende nel magma delle sensazioni fisiche
raccolte dall'Io lirico e un richiamo continuo agli aspetti
sensoriali che arricchiscono il quadro percettivo in una epifania di
sensazioni. Tre versi iniziano allo stesso modo descrivendo tre
sensazioni diverse, “un brivido”, “un mormorio”, “un filo
d'odore”. Dove lo stesso odore delle “acacie aperte”,
sbocciate, porta con se il richiamo alla purezza che quel fiore
rappresenta.
L'elemento della natura
fa la sua comparsa, ancora una volta, come nella poesia Mondo sotto lucernario verde, prima come introduzione ad elementi
minerali e alla “carne” della prima strofe, poi nella seconda
strofe come “acacie” e infine alla apparente irrazionalità della
“farfalla”.
La farfalla, ignorando
quanto sia di breve durata la sua vita nello scorrere del tempo,
“ignora” che attorno a quella figura, da cui sembra svilupparsi
quella luce, “non si bruciano le ali,/ ma l'anima”.
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