di Mattia Sangiuliano.
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Viene alla mente la
novella pirandelliana: “C'è qualcuno che ride”, novella
ambientata nel mentre di una riunione seria, il giorno di carnevale,
in cui i partecipanti vi prendono parte travestiti, in maschera – e
qui il sottile ossimoro della vicenda che sottende l'intero breve
racconto – eppure attori di una finta partecipazione collettiva e
corale a un giubilo solo estetico, del tutto privo di un qualche
vitalismo, o della pur minima partecipazione all'evento. Proprio nel
mentre di quella attesa carica di preoccupazione, una risata
rompe la sospensione generale gettando gli astanti nel panico collettivo; gli astanti erano colpevoli di aver accettato l'oblio collettivo aderendo
ad una circostanza formale, nella coralità generale, senza porsi alcuna domanda sulla liceità di quel contesto.

L'indignazione crebbe, un
gruppo di anarchici locali distribuì copie di alcuni volantini e
indisse un presidio presso Haymarket Square.
Il presidio incominciò
il 4 maggio, sotto una leggera pioggia. August Pies parlò alla
grande folla accalcatasi per l'evento. Il presidio si svolse in tutta
tranquillità sotto gli occhi di un ingente gruppo di poliziotti
chiamati a garantire l'ordine pubblico.
Improvvisamente, però,
il gran numero di poliziotti incominciò a marciare verso i
manifestanti, intimando alla folla di disperdersi. Fu a questo punto
che un ordigno esplosivo scagliato contro la polizia causò la morte
di un agente. Nell'attimo di panico che seguì la detonazione la
polizia aprì il fuoco sulla folla, ferendo dozzine di persone e
uccidendone undici. Sette agenti morirono a causa del fuoco amico.
Otto persone furono
collegate alla protesta e alla morte dell'agente di polizia colpito
dall'ordigno esplosivo. Cinque di questi erano immigrati tedeschi. A
seguito del processo, in cui non furono portate testimonianze che
legavano gli imputati al lancio dell'ordigno, la giuria emise il
verdetto condannando a morte sette imputati, fra cui August Pies. Due
di queste sentenze furono mutate in ergastolo. Louis Lingg si suicidò
prima dell'esecuzione, accendendosi un sigaro imbottito di dinamite,
introdotto nella cella, che non lo uccise sul colpo ma lo trascinò
in una lenta agonia durata qualche ora.
August Spies, Albert
Parsons, Adolph Fischer, George Engel, sono i nomi dei quattro
condannati a morte che perirono soffocati per via dell'impiccagione
mal riuscita.
Spies, prima di venire
impiccato pronunciò la celebre frase "verrà il giorno in cui
il nostro silenzio sarà più forte delle voci che strangolate
oggi".[1]
celebrazione, ha un triste ricordo tutto italiano. Una drammatica
vicenda che si svolge sullo sfondo della festa dei lavoratori del 1947, la prima
celebrazione dopo la liberazione italiana
dall'occupazione nazifascista.
«Durante la festa dei
lavoratori, 1.500 persone sono riunite nella pianura vicino a
Portella della Ginestra, in Sicilia. Intere famiglie giunte da fuori
stanno festeggiando il 1° maggio sopra carri allegramente dipinti
quando all'improvviso, dalle colline, una mitragliatrice apre il
fuoco. Undici morti (tra cui due ragazzini di 7 e 12 anni) e
sessantacinque feriti sono il bilancio di quindici minuti di
orrore.»[2]
Dietro all'attentato
viene subito identificata la mano di Salvatore Giuliano, associato a
vari fenomeni di banditismo del dopoguerra e legato al movimento
indipendentista siciliano, armato dalla mafia; un attentato politico,
ai danni del grande successo delle coalizioni delle sinistre unite,
dei sindacalisti e dei contadini e operai che non volevano piegare la
testa, ai danni della DC dell'isola, e a discapito del potere mafioso
strisciante nella Sicilia del dopoguerra.
Molte tesi e
testimonianze si sono avvicendate nel corso degli anni attorno alla
vicenda della strage di Portella della Ginestra; la più recente –
e grave – prende come riferimento i rapporti desecretati dei
servizi segreti statunitensi dell'OSS e del CIC, in linea con quella
che fu la tesi del leader socialista Pietro Nenni all'epoca della
strage, ascrivendo l'attentato sulla scorta della vittoria elettorale
delle sinistre de 20 e 21 aprile, ai danni strategia di contenimento
del comunismo rappresentato dalla “dottrina Truman” avviata il 12
marzo dagli Stati Uniti.
«Se la versione
ufficiale vedrà in Salvatore Giuliano l'unico esecutore della
strage, la regia occulta è infatti da attribuirsi all'Office of
Strategic Services (il servizio segreto americano comandato in Italia
da James Jesus Angleton), con la collaborazione dei mafiosi e di
elementi neofascisti reclutati dall'Oss e trasferiti in Sicilia
qualche tempo prima.»[2]
Il presidio presso
Haymarket Square e la conseguente condanna a morte di quanti, operai
e anarchici, chiesero un trattamento equo e dignitoso, avvenne due secoli fa; la strage di stampo politico-mafiosa di Portella delle Ginestre, il
secolo scorso. Due fatti sanguinosi, ma non i soli, che
calpestano il ricordo di una battaglia per un trattamento più
dignitoso ed equo verso i lavoratori di tutte le categorie, scesi in
campo per lottare o nella celebrazione del diritto al
lavoro, un diritto Costituzionale e inalienabile.
Nell'odierna indifferenza
generale si manifesta l'adesione ad una rassegnazione collettiva che,
troppo spesso si traduce in una spasmodica attesa in cui si parla
di “costo del lavoro” e di “numeri” di vite umane; quando invece si hanno vittime di
un meccanismo che reifica i lavoratori a mero strumento e carburante
di un capitale spersonalizzante e schiavistico, radicato nei gangli della società e nella retorica della classe politica.
Dimenticando la
sofferenza passata, aderendo al dolore collettivo senza porsi alcuna domanda, obliando il valore
della lotta e il significato della vita umana, si completa il macabro
cappio che si chiude attorno al dramma di una società che, ripiegata su se stessa, è vittima della rassegnazione.
[1] Fonte,
qui;
[2] Trento,
Francesco; “La guerra non era finita”, editori laterza (2014),
p.55.
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