«La mattina del 5 di
Agosto
si muovevano le truppe italiane
per Gorizia le terre lontane
e dolente ognun si partì»
per Gorizia le terre lontane
e dolente ognun si partì»
(O Gorizia, tu sei
maledetta)
«Da quella bara che
riunisce er pianto
de tante madri, un fijio
chiam: - Mamma!
E ogni madre risponne:
-Fijio santo!
De tanti cori s'è
formato un core:
ardeno tutti nella
stessa fiamma
strazziati dar medesimo
dolore»
(Trilussa)
Un grido di dolore
riecheggia, rimbomba di luogo in luogo, la memoria della storia si
interroga sul perché; perché sia stato possibile; perché un odio
così cieco e sordo; perché un'adesione così vasta, da ogni
schieramento politico, da ogni istituzione, attraverso ogni
gerarchia, si sia trasmessa al popolo di una nazione assetata di
costruire se stessa. Questo è il tema della costruzione
dell'identità nazionale, dello spirito della Nazione, attraverso il
quale, con un movimento pedagogico, si è cercato di formare e
legittimare la costituzione di un organismo patrio, retto sulla
comunanza di caratteristiche proprie, unito e coeso non solo su dati
topo-geografici, ma sulla somma di valori culturali comuni. Accanto a
motivi di prestigio veicolati da élite precise, in grado di trovare
terreno fertile per le loro idee in vasti strati di popolazione.
L'idea che la guerra
forse voluta – se non cercata – dalla classe politica e della
nobiltà delle classi superiori e dalla casata dei Savoia, era
un'idea largamente diffusa tra i soldati italiani che combatterono
disseminati sul fronte dell'Italia settentrionale. La gran parte dei
quadri dell'esercito regio erano costituiti da contadini, braccianti
strappati dalle varie regioni della penisola con l'obiettivo di
muovere guerra a un nemico imprecisato, collocato al di là del
confine. Già dall'unità d'Italia, proprio l'esercito doveva essere
un fattore di aggregazione funzionale per la costituzione
dell'identità nazionale; in molti però, non vedevano che in questo
un detrimento ai danni della propria condizione già di per sé
difficile; quella alle armi era una chiamata nefasta, un dovere cui
molti – militi improvvisati – tutt'altro che soldati di
professione, erano chiamati a compiere. Questa idea di una guerra
voluta dall'alto, dalle istituzioni dell'Italia monarchica e
parlamentare era assai diffusa proprio sul fronte, mitigata e
propagata da una cultura e da un immaginario popolare. Non erano rari
i casi di processi militari – e in casi estremi di condanne ed
esecuzioni – per quanti venivano sorpresi a cantare o recitare
versi di canzoni, filastrocche o stornelli, di stampo
antimilitarista, che avrebbero vilipeso il valore del conflitto;
nonostante la guerra si stesse rivelando come un sanguinoso
spargimento di sangue, voluto dalle istituzioni prima che dagli
italiani.
La Grande Guerra fu, per
vastità del fenomeno, per impatto culturale e sociale, nonché
politico e geopolitico – con movimenti di irredentismo sempre
latenti e striscianti, spartizioni territoriali, ridefinizioni di
confini – uno degli aventi che avrebbe profondamente scosso gli
albori del '900, e la cui eredità sarebbe poi confluita nell'Europa
dei totalitarismi. Nella Prima Guerra Mondiale morirono 9.722.000 di
soldati. I civili non furono risparmiati: circa 950.000 morirono a
causa delle operazioni militari e circa 5.893.000 persone perirono
per cause collaterali, in particolare carestie e carenze di generi
alimentari, malattie ed epidemie, oltre che a causa delle
persecuzioni razziali scatenatesi durante il conflitto[1].

La fine del conflitto, lo
smembramento di sogni di egemonia, il ridimensionamento
internazionale, i conti delle distruzioni materiali, sono nulla se
paragonati al peso in termini di vite umane che la guerra porta con
sé; accanto a questa pesante e opprimente eredità il bisogno di una
redenzione collettiva, di rievocare le vittime, tutte le vittime del
conflitto, identificando, in un luogo ideale, la tragedia della
Grande Guerra. Il Vittoriano, l'Altare della Patria, sarà eletto a
questa funzione sacrale, attraverso la celebrazione di un soldato
caduto in battaglia.
«La salma del Milite
Ignoto verrà inumata il 4 novembre 1921. Ma, prima, un complesso
movimento celebrativo farà si che il teatro dell'avvenimento sia
divenuto il Paese intero […] mettendosi in scena la più grande
manifestazione patriottica corale che l'Italia unitaria abbia mai
visto.» Per rendere possibile ciò una commissione costituita dai
quadri dell'esercito regio venne incaricata di ricercare «dai primi
di ottobre in segreto, arrampicandosi per gli sparsi cimiteri
militari dei vari fronti della guerra, dallo Stelvio al mare, gli
undici resti irriconoscibili, uno per ogni zona dove più aspra e
accanita si era accesa la battaglia: Rovereto, Dolomiti, Altipiani,
Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, S.
Michele, Castagnevizza».
Il 27 ottobre ad Aquileia
si svolse la solenne cerimonia della scelta dell'urna destinata ad
essere consacrata all'Altare della Patria; una popolana triestina,
Maria Bergamas, madre di un disperso, viene incaricata di compiere
questa scelta. All'interno dell'iconografia celebrativa, attraverso
la persona della Bergamas, Mater Dolorosa, viene esaltata la
pregnanza del gesto della scelta e della commemorazione: la donna, la
madre, commossa, dovrà scegliere l'urna senza nome e accompagnarla
sino a Roma, attraverso varie regioni d'Italia, consacrando, con
questo itinerario, un movimento che voleva essere innanzitutto di
aggregazione attorno alla sacralità della celebrazione. In questa
figura femminile si trasmette, in una variante di sfaccettature, il
dolore del singolo e quello collettivo, la sofferenza di madri, mogli
e figlie, il martirio della perdita, dell'assenza, della morte; la
lacerazione collettiva di fronte alla guerra viene ricomposta in una
figura femminile chiamata a rappresentare l'Italia stessa, coesa,
madre non più simbolica dell'Ignoto che perdette la vita sul fronte
italiano.
«La cerimonia di Roma,
fulcro e picco eminente dell'intera apparecchiatura encomiastica. Si
dilata perciò verso tutta l'Italia.»
Il cerimoniale è molto
complesso, coinvolge tutta l'Italia, la proietta in una prospettiva
europea, l'obiettivo non è quello di glorificare la guerra, né di
esaltare la pace, bensì edulcorare il valore del singolo, del Milite
Ignoto in cui ogni soldato, disperso o no, ogni italiano possa
identificarsi e riconoscere il valore e l'onore del gesto, non
dell'offesa, ma della forza che lo accompagnò sino alla fine. «Un
tributo di venerazione al sacrificio compiuto in silenziosa
obbedienza: questo è lo scopo ufficiale dell'iniziativa».
L'Italia si configura
nella sua impostazione monarchica. Nel rito – secondo Labita – si
compie «l'esaltazione di quella passiva abitudine alla disciplina
che è la virtù per eccellenza del suddito» e si mettano in luce
«le due caratteristiche essenziali, e volute, del nuovo simbolo: la
rappresentazione dell'eroismo anonimo del combattente e la comunanza
cameratesca della tragedia della guerra».
L'aria è densa di
sacralità:
«A Roma le regine si
inchineranno sulla tomba dell'Ignoto, mentre il re sull'attenti, i
principi la mano alla visiera del cappello, gli rendono onore. I
ruoli paiono invertiti: l'umile fante contadino è assurto
nell'omaggio che riceve, alle altezze sovrane.»
La coreografia del
tributo, della memoria commossa, si svolge secondo uno schema
cadenzato e misurato, in cui persino il silenzio della celebrazione,
dell'unione e del raccoglimento, deve svolgere una funzione ben
precisa; il feretro dell'Ignoto deve dominare la scena, riempirla
della sua pregnanza simbolica, con la sua presenza fisica che è, in
primo luogo, caricata di un altissimo valore ideale e spirituale;
attorno a lui la cornice delle istituzioni deve stringersi in un
caldo abbraccio, in una presenza inamovibile e, anch'essa, dominare
la scena con il suo tributo, e la sua partecipazione:
«Davanti al feretro
incede la banda dei Carabinieri, le rappresentanze delle armi, la
banda della Marina; dietro avanza il nero gruppo delle dieci madri e
delle dieci vedove di guerra. Seguiranno ministri, deputati,
senatori, generali, rappresentanze della città decorate di medaglia
d'oro, quelle delle armi a cavallo, gli ex combattenti, i reduci, i
mutilati.»
Le istituzioni si
stringono attorno all'Ignoto martire caduto per la patria affinché
il suo sangue potesse alimentare la linfa della Nazione, attraverso
la celebrazione istituzionalizzata del Milite, nella sacralità del
momento. Le stesse istituzioni vengono purificate dal culto e dal
mito della guerra; le campane di tutta Italia si uniscono al canto,
rintoccano mentre le salve dei cannoni del Gianicolo accompagnano
alcuni cruciali momenti del rito.
Una canzone popolare come
“O Gorizia, tu sei maledetta”, j'accuse composta al fronte,
dovrebbe far riflettere su questo clima, sul conflitto e sul ruolo
delle istituzioni prima, durante e, nel caso dell'invenzione del
Milite Ignoto, dopo la Grande Guerra. Ma ciò che traspare dalla
messa in musica di un testo popolare, che conobbe una gran varietà
di riadattamenti e di tributi, è il sentimento di avversione verso
la guerra, non in chiave antipatriotica, bensì intesa come mero
strumento di una classe di uomini incuranti delle sofferenze del
popolo; contro le istituzioni si scaglia la rabbia di soldati che non
sanno il perché della loro morte: “O vigliacchi che voi ve ne
state/ con le mogli sui letti di lana/ schernitori di noi carne
umana”. Il dolore di un popolo che non sente la guerra come culmine
ideologico di una propria battaglia ma di un vago prestigio
corroborato da mire espansionistiche, citando l'annosa questione dei
limiti del territorio, massima espressione della percezione della
guerra proiettata offensivamente oltre l'Italia: “Voi chiamate il
campo d'onore/ questa terra di là dei confini”. Il grido di dolore
richiama la memoria del conflitto e del sangue versato senza un
perché che possa lenire la perdita di centinaia di migliaia,
milioni, di vite umane. Dove si alza il canto la colpa ricade su chi
volle la guerra, la condanna da parte degli anonimi soldati che
persero la vita raggiunge la sua massima intensità: “quì si muore
gridando assassini/ maledetti sarete un dì”.
Note e bibliografia:
-Tobia, Bruno; “L'altare
della patria”, il Mulino (2011); cap. III “L'invenzione del
Milite Ignoto”.
-Mantovani, Sandra
(versione di); “O Gorizia, tu sei maledetta”
https://www.youtube.com/watch?v=hWG0bhpgc0A
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