di Mattia Sangiuliano
Maurizio Gasparri –
@gasparripdl per gli amici della rete, meglio se via twitter – è
un tipo d'uomo particolare: esponente del centrodestra,
filoberlusconiano sino alla nausea, reazionario, conservatore e,
questo è l'aspetto che ci interessa, figura pubblica molto attiva su
twitter; un querelatore compulsivo che, però, non riesce a sottrarsi
alle denunce che il web, gran parte del web, gli muove contro
specialmente quando lo ritrova protagonista di una qualche vicenda di
attualità, in cui, dalle maglie della rete, un suo tweet riesce a
stuzzicare l'opinione pubblica. Quindi la pronta reazione del popolo
del medium digitale.
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Gasparri nella rete |
Ma dato che stiamo
parlando del vicepresidente del senato, sembra quasi scontato che un
suo inciampo – se così ingenuamente lo si possa definire –
scateni il rigetto e l'opposizione di gran parte dell'opinione
pubblica.
Leggendo ciò che
Gasparri scrive, e ciò che gli scrivono i suo follower, che tutto
sembrano fuorché “seguaci”, emerge il ritratto di un politicante
surclassato, figurante imbalsamato in una posa, intrappolato in un
sistema viziato, in cui tutto
diviene parodia e intrattenimento; lo si crederebbe un bot
pre-programmato, settato su impostazioni predefinite. La
scimmiottatura di un politico in stato di decadimento avanzato.
La cosa peculiare, che
salta all'occhio di chi non segue abitualmente le diatribe digitali
che vedono come protagonista il singolar tenzone gasparriano, intento
a lottare contro orde di account cinguettanti, è proprio il suo
peculiare e immancabile rispondere a tono a tutti, quel suo tener
testa non solo alle critiche, ma anche agli insulti.
In altri casi si vede il
vicepresidente forzista, rendere pan per focaccia ribattendo con gli
interessi – e gli insulti – alle controcritiche; questa è la
situazione che ha per oggetto l'ultima – ma sicuramente non ultima
– vicenda, che vede per protagonista, nelle vesti di antagonista,
una ragazza che ha preso le difese dell'artista Fedez.
Adesso,
forse, solo questa breve premessa sarebbe servita come motivazione a
non dar peso alla faccenda; non mi piace Fedez, non lo ascolto.
Capita che lo critichi. Non mi piace. Va bene. Non mi piacciono
neppure i suoi tatuaggi; anzi: non mi piacciono i tatuaggi in generale indi per
cui non mi piace neppure Fedez. Va bene anche questo. Sono anche un
conservatore? Benissimo. Sono pur libero di esprimere la mia
opinione. Libertà. Ne siamo il popolo no? Qualcuno potrebbe anche
darmi del cretino; me lo prenderei e starei zitto; si sa: la rete non
risparmia nessuno e non fa sconti.
Bene
o male anche rispondere a tono, insultando l'altro in maniera
gratuita, non sembra neppure una cosa poi così astrusa. La rete, la
libertà, ce lo permettono.
L'assurdo
inizia a danzarci davanti agli occhi sotto i riflettori di luci
stroboscopiche quando, nel momento in cui tentiamo di capire, o
perlomeno di figurarci la scena, realizziamo che è un senatore della
Repubblica a muovere queste critiche, persino vicepresidente del
Senato, che è arrivato, dall'alto del suo scranno immaginario –
molto immaginario in questo caso – a dare della cicciona e della
drogata ad una ragazza qualsiasi che ha raccolto la sua provocazione
via web, ribattendo al pensiero del senatore.
Si scatena la bagarre e,
ben presto, su twitter esplode il tanto atteso Gasparrishow;
l'hashtag che scala le vette della trend list, è proprio il
famigerato quanto lapidario #Gasparri.
Basta aprire il proprio
profilo e trovarsi alla testa delle dieci tendenze del momento il
nome del vicepresidente del Senato, per capire che il ben noto
Maurizio ne abbia combinata un'altra delle sue.
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The Gasparri horror picture show |
I post e i tweet sembrano
diventare una galleria degli orrori, una specie di “The Gasparri
Horror Picture Show” dove saltano fuori i vecchi e i nuovi
tormentoni che hanno per protagonista – o per oggetto – proprio
lui: #Gasparri.
Presto compare in TL
anche qualcosa di fantascientifico: un #GasparriDimettiti balena su
qualche profilo. Il cyberspazio pullula di amanti del fantastico e
dello sci-fi.

È anche, come accennato,
l'occasione per rispolverare i vecchi e intramontabili classici
dell'insultante pensiero gasparriano; emergono così, scavando nella
rete, anche piccole chicche autografe del diretto interessato,
alcune immonde perle di ignoranza lanciate dal senatore destrorso nel
corso della settimana, quasi coscientemente lasciate depositare e
sedimentare sotto starti e strati di informazioni digitali sino allo
scoppiare inatteso – e per taluni insperato – che porta a
riscoprire la summa del suo pensiero, condensatasi in un ronzante
ammasso caldo e fumante.
Se alcuni tratti del
pensiero di Gasparri possono essere sintetizzati in una sorta di burloneria impenitente di cattivo gusto, è anche vero che altri aspetti di questo suo
“pensiero”, sventolati in faccia all'opinione pubblica come un
insulto, se si considera come aggravante la sua costante presenza almeno settimanale
su qualche talk palinsestuale, non possono che sembrare insultanti a
gran parte di quelli che – per loro sfortuna – hanno uno standard
culturale poco più alto del suo – mi riferisco a un uomo di
estrazione medio-bassa con la terza elementare.
La presuntuosa xenofobia e il conservatorismo
votato all'utilitarismo di un esponente di destra radicale ne è un
esempio; in tal senso anche una forma di coerenza se si guarda che
nel curriculum del senatore ha spazio anche un'esperienza tra le fila
del MSI (movimento sociale italiano) prima, e in AN (alleanza
nazionale) poi; prima di un suo trasloco nel PDL – rintracciabile
nelle vestigia del suo account su twitter – e all'attuale riesumazione
di FI, dove si è comodamente alloggiato dal 2013.
Ma qual è la cifra
inconfondibile di questo rapporto con la rete? Il suo prenderla di
petto. La nota stilistica di Gasparri è il suo caratteristico
rispondere a tono alle critiche, sino al punto di venir risucchiato
dal gorgo maleodorante che egli stesso si è tirato dietro nel
momento della caduta, nel disperato quanto vano tentativo di salvarsi
aggrappandosi alla catena dello sciacquone. E Gasparri è sempre li,
intrappolato nella sua posa, invischiato nella rete che si è
intessuto da solo, ormai etichettato come barzelletta di sé stesso,
in bilico sul ciglio della tazza, pronto a scivolare per il diletto
del pubblico.
Anziché tirare dritto,
come ci si aspetterebbe da gran parte dei “vip” o dei
rappresentanti delle istituzioni, Gasparri risponde al tizio X che
gli da del mafioso via social, così come risponderebbe a tono – e
con il medesimo registro stilistico di chi risponde a un camionista
ubriaco che ha sterzato in autostrada – a uno Scanzi che dalla
poltrona di qualche programma di approfondimento politico (forse La7)
gli dice le stesse identiche cose, magari velate da quello stile
satirico-eroicomico del giornalista tipo del Fatto.
Gasparri finisce con il
rimaner invischiato nel suo stesso inciampo, il frutto dell'illusione
– e della presunzione – di ritenersi intoccabile persino sulla
rete.
Ricapitolando: Gasparri è
per sua natura – o “contro-natura” – portato a rispondere a
utenti identificati con nome o cognome, minacciandoli di querela –
e magari querelandoli! – così come fa con utenti celati dietro
un'identità fittizia deprecando persino l'impossibilità – ahinoi!
– di lanciare la querela contro il misterioso e sfrontato utente.
Alla faccia della libertà di parola – o di insulto – che, ancora
una volta, sembra essere prerogativa di una sola parte in campo.
La ricetta per un
Gasparri perfetto: due dosi di misoginia istantanea non condizionata
lasciata decantare con del distillato di berlusconismo puro al 99,9%;
aggiungere poi mezza porzione di presunzione, due dita di
cattolicesimo oltranzista diluito da sostituire eventualmente con
mezza scorza di Democrazia Cristiana (anche in polvere), insofferenza
verso la propria persona: tanto quanto basta; guarnire con
revisionismo storico, meglio se in scaglie. Da servire tiepido.
L'enologo consiglia di accompagnare il piatto con acido di batterie
della macchina.
E pensare che per
risparmiarsi tante ingiurie e insulti nonché tante querele,
basterebbe schiarirsi le idee, ricordarsi di essere un esponente
delle istituzioni. O perlomeno una persona civile.
Ma quest'ultima
sembrerebbe essere una sfida davvero troppo grande.
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