di Mattia Sangiuliano.
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Marc Chagall; Il compleanno (1915) |
Proviamo
una paura sottile e affilata come la presunzione che l'accompagna:
temiamo di dire “ti amo” e mentre vagheggiamo colpi di fulmine
raccontiamo a noi stessi che è meglio non crederci che è meglio non
illudersi dunque che la felicità è passeggera come l'amore ed
eterna è solo la catena della delusione così inventiamo categorie
per standardizzare i nostri rapporti per quantificare in gradi di
affezione le nostre relazioni limitandoci nel nostro porci di fronte
all'altro mentre invece vorremmo ardere ci diciamo che non possiamo
che il solo pensarlo fa spavento che se chi abbiamo di fronte potesse
leggere nella nostra mente o peggio nel nostro cuore sarebbe
disgustato dall'incendiario che è in noi e che minaccia di uscire
mentre invece magari anche dall'altra parte c'è quella stessa fiamma
che vorrebbe bruciare i canoni dettati dall'unica paura che vincola
il contatto sincero celato dietro quelle cinque dannate lettere
allora si scava indietro dando la colpa a vecchi innocui dolori per
giustificare questa freddezza e vorremmo seguire i dogmi o almeno
essere analfabeti e non aver mai imparato quelle tre sillabe figlie
della debolezza di non riuscire a stare da soli senza dover per forza
sentire il bisogno di aggrapparsi all'altro o di essere la stampella
di qualcuno ma quelle parole le vorremmo dire e le volevamo dire già
da subito da quella notte in cui i nostri occhi tremavano vacui
annaspando in un mare di confusione giocando a fare gli sfrontati
nascondendoci cose chiare che facevamo finta di non capire indossando
maschere che non ci appartenevano ci saremmo sentiti più a nostro
agio nudi giocando a carte scoperte senza dover rispettare i gradi di
separazione imposti dalle grandi manovre di avvicinamento censurando
i sentimenti (che sono l'equivalente romantico di una bestemmia
sputata in faccia ad un dio misericordioso ma distratto) e limitando
i complimenti (la somma di qualcosa che ci appare immaturo viscido e
colpevole) e allora ingoiamo le amare dense volute di fumo delle
cento occasioni sprecate tossendoci in faccia qualche convenevole e
qualche battuta e se ridiamo insieme ridiamo di noi stessi e della
vergogna che proviamo e di quello che nascondiamo di quella paura che
ingabbia quello che vorremmo dire che vorremmo fare e quello che
siamo ma che non possiamo mostrare così tingendoci la faccia
diventiamo il saltimbanco del gioco delle tre carte. Quadri. Picche.
Fiori.
Il
cuore rosso io lo tengo nascosto nella manica.
Gioco
sporco seguendo le regole e allora ti guardo e non parlo al massimo
mento.
Me lo
tengo per me quanto cazzo ti amo.
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