recensione di Mattia
Sangiuliano
La perfetta linea di tiro
del colpo sparato da Recchioni con quel proiettile innescato da
“Spazio profondo”, albo 337, (inaugurante un punto di vista
tutt'altro che banale o secondario, accennato dallo stesso Recchioni
nell'editoriale del mese, a inizio albo), centra il bersaglio in
questo albo di DD mandando in schegge il nostro eroe; una
traiettoria, quella del colpo sparato dal curatore, che ha
attraversato tutti i numeri sino ad ora pubblicati in questa nuova
fase editoriale dell'indagatore dell'incubo, aprendo nuovi passaggi,
esplorando altri abissi, sino ad arrivare a scavare, in questo albo,
un lato inesplorato dell'indagatore dell'incubo; riuscitissimo colpo
di quel Recchioni contestato aspramente ma alla fine grossomodo
sempre più apprezzato – o per lo meno tollerato – da quello che
si può leggere qua e la sulla rete; resistono sacche di pochi
nostalgici di non si sa quale vecchio imprecisato regime di DD –
forse di un filone talmente fedele all'Indagatore, da non avere uno
smartphone o un pc (sda – sarcasmo dell'autore) – e che
invariabilmente non apprezzano neppure una virgola del nuovo corso di
DD.
Uno, nessuno,
centomila Dylan Dog? Forse uno nessuno centomila immagini del
mondo in cui l'indagatore di Craven Road si specchia. Così come in
fondo sono uno, nessuno e centomila, gli incubi che affronta lo
stesso Dylan. L'universo si ripiega in una dimensione interiore in
cui l'indagatore non riesce a riconoscere la propria identità, il
proprio posto nel mondo, nel suo mondo e nella sua
dimensione. I detrattori del nuovo corso potrebbero dire: “così
come non si riconosce nella sua dimensione editoriale”, e in un
certo senso potrebbero aver ragione, ma a dissolvere questa j'accuse
ci pensa senza troppi giri di parole il sopracitato editoriale che
porta la firma di Roberto Recchioni.
Copertina
dell'immancabile Angelo Stano, bella e inquietante come non
mai, un Dylan Dog in disgrazia, quello di questo albo, seduto a terra
che accetta significativamente l'elemosina da qualcuno dei suoi
incubi, incubi che popolano la sua nuova realtà, la realtà distorta
di questa storia, in un paesaggio futuribile, sotto un intenso cielo
infuocato – una tarda torrida estate, come quella che stiamo
vivendo? – gravido di presagi non troppo idilliaci, ma qui non
bisogna essere meteoropati – o essere dotati del quinto senso e
mezzo di Dylan – per averlo intuito, già dall'appropriato titolo
biblico “...e cenere tornerai”.

Disegni dei
fratelli Raul e Gianluca Cestaro (La morte non
basta, albo n° 330). Che dire: tavole pulite, tratti definiti,
chiaroscuri che seguono le varie ambientazioni in cui la malattia fa
barcollare e inciampare il nostro Dylan, seguendone gli incubi e le
speranze, le paure e i sogni, le illusioni e le minacce; sotto una
pioggia torrenziale, negli interni allucinanti di qualche dedalo di
paranoie vorticose, in paesaggi devastati o in una stanza in cui
prenderà il via lo scontro finale.
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