La poesia [O carro vuoto sul binario morto] di Clemente Rebora è un'istantanea che racchiude un momento di riflessione sulla tormentata condizione dell'essere umano; lo scorrere della vita è un fluire apparentemente senza spiegazione e senza significato ma una leggera flebile scintilla sembra rischiarare il momento dell'epilogo.
Analisi e commento di Mattia Sangiuliano
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Stazione di Falconara Mma - Foto scattata con Praktica MTL5B |
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O
carro vuoto sul binario morto, |
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Ecco
per te la merce rude d’urti |
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E
tonfi. Gravido ora pesi |
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Sui
telai tesi; |
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Ma
nei ràntoli gonfi |
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Si
crolla fumida e viene |
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Annusando
con fàscino orribile |
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La
macchina ad aggiogarti. |
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Via
dal tuo spazio assorto |
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All’aspro
rullare d’acciaio |
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Al
trabalzante stridere dei freni, |
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Incatenato
nel gregge |
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Per
l’immutabile legge |
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Del
continuo aperto cammino: |
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E
trascinato tramandi |
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E
irrigidito rattieni |
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Le
chiuse forze inespresse |
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Su
ruote vicine e rotaie |
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Incongiungibili
e oppresse, |
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Sotto
il cielo che balzàno |
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Nel
labirinto dei giorni |
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Nel
bivio delle stagioni |
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Contro
la noia sguinzaglia l’eterno, |
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Verso
l’amore pertugia l’esteso, |
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E
non muore e vorrebbe, e non vive e vorrebbe, |
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Mentre
la terra gli chiede il suo verbo |
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E
appassionata nel volere acerbo |
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Paga col sangue, sola, la sua fede. |
PARAFRASI
O vagone vuoto in sosta sul
binario morto, vieni caricato di merci insensibili ai sobbalzi e ai colpi. Sei
gravato dal nuovo carico che pesa sul tuo telaio ora teso; la motrice fumante e
sferragliante sopraggiunge per agganciarti respirando con un fascino orrendo.
Vieni portato via dal luogo del tuo riposo, sobbalzando, sul rumore delle
rotaie stridenti per i freni, aggiogato agli altri vagoni, in fila, come vuole
il dogma del perenne incedere: trascinato trasmetti il movimento agli altri
vagoni e allo stesso tempo reprimi le forze sopite delle ruote, le une vicine
alle altre, sulle rotaie anch’esse soggiogate e destinate a non congiungersi
mai. Sotto un cielo cangiante i giorni sono intricati e le stagioni incerte,
contro la monotonia, egli libera l’eternità ed apre uno spiraglio verso l’amore;
non muore ma vorrebbe morire e allo stesso tempo non vive ma vorrebbe vivere, mentre
la terra mossa dalla passione e da un desiderio immaturo, si rivolge al cielo
chiedendogli di parlare versando, lei soltanto, un tributo di sangue per la
propria fede.
SPIEGAZIONE
La condizione dell’uomo è simile
a quella di un vagone abbandonato su un binario morto, sorta di vicolo cieco, viene
caricato e messo in movimento all’occorrenza e si trova inquadrato nei ranghi
di una struttura più grande di lui. Egli è mosso da una forza che viene
esercitata e che egli stesso è costretto ad esercitare sugli altri,
indistintamente ed indipendentemente dalla propria volontà. In questa
condizione di vincolo l’uomo è portato a reprimere le proprie inclinazioni e
potenzialità, a vivere monco, senza neppure poter intrecciare sinceramente la
propria esistenza a quella di qualcun altro: come le rotaie che procedono
parallelamente e non si incontrano mai, anch’esse oppresse dalle traversine che
le dividono. La vita scorre: i giorni passano confusi tanto sono indistinti, le
stagioni si susseguono senza un senso apparente. La monotonia domina questo
mondo eppure alzando lo sguardo dall’arcipelago dei nostri destini
individualizzati e frammentati possiamo scorgere uno spiraglio di speranza
rappresentato dall’amore. Chiediamo allora a qualcosa più grande di noi – al
cielo o all’universo oppure a qualche divinità – di spiegarci il senso della
condizione umana, dopo esserci ridestati dal nostro torpore. Ascrivibile alla
temperie vociana di cui lo stesso Rebora era esponente, in questa lirica
troviamo tutti gli elementi cardine di questa poetica: dallo sperimentalismo
linguistico alla forte connotazione autobiografica, rintracciamo elementi
decisamente moderni e quasi avanguardistici, come la reificazione dell’uomo – o
degli uomini – paragonati ai vagoni di un treno. Sopra ogni cosa la resa
stilistica è pervasa da un forte espressionismo in cui il verbo e l’azione si
fanno dominanti. Lo slancio della poesia tende a farsi esso stesso vita, cercando
quasi di sciogliere i legacci che la imbrigliano.
ANALISI STILISTICA
Il componimento è costituito da
un’unica stanza composta da 28 versi liberi, di metrica variabile. Non sono
presenti rime ad eccezione dei vv 3-4, 12-13, 17-19, 26-27. I numerosi enjambements
concorrono a creare una discorsività tra i versi, amplificando il senso dell’azione
che diviene quasi cinematografica – i vv 2-3, 3-4 così come 5-8, in maniera
diversa i versi 15-19 in cui le congiunzioni creano brevi pause. Il ritmo della
poesia è dato dalla grande quantità di assonanze e reiterazioni di suoni simili
all’interno delle parole: il primo verso ne è un esempio, assieme al secondo
che lega la parola “morto” con “urti” così come avviene successivamente ai
versi 8 e 9 con le parole “aggiogarti” e “assorto”; l’asprezza della tematica
dominante, la vita che si trascina priva di senso guidata da una forza
totalizzante che non lascia alternative, trova un’eco stilistica nel
fonosimbolismo e nell’allitterazione determinata dalla scelta di lemmi
connotati da questo susseguirsi di parole cariche di forza espressiva data
dalla consonante “r”. Il costrutto stilistico raggiunge il suo apice proprio al
centro della poesia, tra i versi 14 e 17 in cui il poeta, in quattro versi,
architetta un primo ed un quarto verso senza verbi, facendo predominare i
sostantivi e gli aggettivi descrittivi in apertura ed in chiusura, concentrando
con violenza tutta l’azione agglutinandola in ben quattro verbi nei
centralissimi versi 15 e 16 scanditi dalla ripetizione della congiunzione “e”
quasi martellante all’inizio di ogni verso, in grado di dare cesura ma senza
riposo, aumentando in questo modo la tensione dell’azione. Da notare l’opposizione
di “aperto cammino” al verso 14 cui Rebora contrappone “le chiuse forze
inespresse” al verso 17: il poeta gioca con i contrasti facendo scivolare l’apparente
libertà di azione e movimento nel suo opposto, vale a dire nelle energie sopite
e soffocate dentro l’essere umano. Il contrasto si fa aspro nei versi dell’azione,
il 15 ed il 16, in cui i verbi sono speculari e opposti, la tensione vibra con
la scelta del “trascinato tramandi / e irrigidito rattieni” in cui l’unico dinamismo
è un’imposizione e concatenazione di energie impresse mentre le energie sopite vengono
cristallizzate e trattenute; il senso di costrizione trova maggiore chiarezza
nel verso XIX con le immagini delle “ruote vicine” ma che non si toccano e delle
rotaie “oppresse”. La seconda metà della lirica è più descrittiva, l’azione ed
i verbi sono sempre presenti ma più isolati: è un momento di raccoglimento e
riflessione. Dal verso XX subentra un’altra importante immagine del cielo che
diviene soggetto centrale e focus su cui si sposta l’attenzione dell’io lirico e
del lettore. Nei tre versi successivi l’assenza di verbi crea un momento di quiete
apparente, sospensione prettamente descrittiva, che contrappone la natura altra
del cielo alla grigia quotidianità; continuando a spostare l’attenzione su un
nuovo focus, il soggetto diviene infine la terra quasi a riportare l’attenzione
sulla condizione umana ora resasi consapevole. Di grande impatto è il verso 25
in cui con ripetizioni e negazioni il poeta gioca con il significato di una
vita e di una morte ugualmente irraggiungibili nella loro pienezza. Il componimento
si chiude significativamente con la parola “fede”, quasi a voler mitigare l’amarezza
della nuova chiarezza rivelata.
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